lunedì 17 febbraio 2014

Stiamo creando per voi (e per noi)


MEMORIES ABOUT 
BON DI Y BON ANN 
(LITTLE IVAN IN ACTION)

Da piccolo ripetevo spesso che l’ultimo dell'anno era il mio giorno preferito. Il motivo era la famosa tradizione della cantilena “Bon di y bon ann”, che dalla bocca di un bocia di quattro anni risuonava come una parola sola : “Bonibonancheliegrisan”. A sentirla oggi sembra il nome di uno sperduto paese indonesiano. 
Mi alzavo alle 8 e mi armavo di quel borsone gigante, che non aveva niente da invidiare agli attuali dell’IKEA. Un borsone che potesse accogliere il più regali possibili. A quattro anni hai ancora la tua sincera priorità esistenziale. E non te ne vergogni, è questo il bello. Mi facevo otto chilometri di stradine labirintiche. Blateravo la mia cantilena senza badare alle parole. Non mi importava di augurare a quelli che visitavo un buon anno o la fertilità del loro criceto. La sola cosa che mi interessava, era che non mi rifilassero le loro noci e i loro mandarini scaduti, avanzi di San Nicolò (che all’epoca non erano ancora geneticamente modificati e avevano ancora i semini dentro). Io, aspiravo a qualcosa di più, al pacchetto regalo! Ancora meglio se rivestito dell’inconfondibile carta da regalo rossa con pupazzetti neri del negozio “Monica”. In quel caso il mio cuore sobbalzava. Purtroppo era l’eccezione alla regola. 
Cinque ore a macinare le stradine di “Su per Ch’l Piz”, senza scartare le celate via Bruel e via Bataian. Ero il piccolo capitalista della via Cuca. Quello stonato, ma consapevole che il fine giustificava i mezzi. Quello dai guanti imbottiti e il berretto che gli scendeva fino a ad oscurargli la vista. Quello dal borsone formato Sherpa 20001. Quello che, pur di racimolare cinque chili di dolci, non si sdegnava di rispondere per 327 volte alla domanda: “Pona pitl mut, de chi ies’a?”.