domenica 25 gennaio 2015

GARDENA VALLEY HISTORY (4a e ultima parte)

GARDENA VALLEY HISTORY: La storia di tutti noi… o quasi

(QUARTA PARTE)


Chi siamo? Forse in un tempo dominato dal non avere tempo, troviamo ancora il tempo di chiedercelo…
Siamo quelli che negli anni ’80 hanno ancora conosciuto coloro che hanno fatto la guerra. Non quella esibita dalla TV, con il sangue sapor ketchup e i bernoccoli di Willy il Coyote: la guerra vera. I nostri nonni ci hanno fatto da History Channel dolby surround, mentre rimembravano i terribili momenti di un fucile puntato alla tempia, seduti anni dopo al calduccio dietro ad un tavolino a sfogliare i necrologi della Dolomiten o a seguire con noncuranza le indagini del commissario Derrick (prevedibili come il susseguirsi dei colori al semaforo).

W LA NONNA

I nostri nonni hanno amato le nostre nonne. Queste a lor volta si sono assunte l’obbligo morale di non farci morire di fame. Non si rendevano conto che ormai si navigava già nell'abbondanza degli ingrati. Alla domanda se volessimo un altro canederlo, il nostro risoluto “no, grazie” valeva nelle loro orecchie quanto il veto di Paperino a zio Paperone. Ecco così che il nostro piatto veniva ugualmente generosamente riempito, quasi a voler scongiurare un’improvvisa perdita di calorie. Nella nostra infanzia, uscire così dalla casa della nonna ancora affamati, era come abbandonare una sauna finlandesi infreddoliti.
E poi c’erano le zie, quelle che ci vedevano sempre crescere. Manco fossimo stati l’ispettore Gadget! A 21 anni continuavano a ripeterci: “Ehi, ma quanto sei cresciuto, tesoro!" E noi ad annuire in un ghigno di condiscendenza, sperando di non doverci subirei anche il temutissimo bacio d'arrivederci in umido sulla guancia, nauseante come la slinguazzata di un Rotweiler in calore.
Tra di noi si parlava però delle nonne specialmente dopo Natale. All’epoca non esisteva ancora Tripadvisor, ma si discuteva quale nonna riuscisse ad azzeccare i regali e chi invece ti rifilava il maglione marrone stile ultimo grido “Reykjavik 1959”. Per non parlare del Sarner, modello “Prurito cutaneo all inclusive”.
Ma a caval donato non si guarda in bocca… 



CHEEESE!!!

Proprio come quando i genitori ti affidavano le loro vecchie macchine fotografiche per andare in gita di maggio. 12 foto disponibili.
Altro che selfie, altro che scattare già durante i primi cinque minuti di autobus 43 foto del tuo BFF (glossario: Best Friend Forever, dove il forever è relativo quanto la dimensione spazio temporale secondo Einstein). Prima di scattare, studiavi meticolosamente cosa fotografare, quale motivo scegliere, e ancora non sapevi che un terzo delle dodici foto sarebbe comunque venuto sfuocato.
Già, le gite di maggio, che allora venivano ancora fatte a maggio. Quel profumava sempre di pioggia e le mamme il fatidico giorno si telefonavano un l'altra per scoprire l’exit poll riguardo all'esito dell'insindacabile decisione: "Si va in gita oppure si rimane a scuola?" Mete turistiche illustre tra l’altro: il nostro Gardaland si chiamava Sacun-wald e c’era chi per tre anni di fila si faceva il Lech da Lagustel (sì, quel laghetto stregato, che tutti in teoria pensano di sapere dove si trovi, ma che nessuno poi trova mai, specialmente quando va di fretta).



MORGENSTUND HAT GOLD IM MUND

Negli anni ’80 il grande John Lennon aveva ormai smesso di sognare un mondo migliore. A sostituire quella visione utopica ci corse in aiuto la televisione. Siamo cresciuti con la speranza che un risveglio di prima mattina, con l'umore pervaso di serotonina, fosse possibile. La colpa è stata tutta di quelle stupide pubblicità del Mulino Bianco!
In TV, quella famiglia sorridente alle 7 e 15 di mattina non sembrava mai avere i nostri stessi problemi. Non passava minuti a cercare due calzini uguali o a bussare disperatamente con la vescica straripante alla porta del bagno. Sul loro tavolo non c'era il classico burro, miele e Ovomaltina. No, loro vi trovavano la tavola già preparata, con tanto di brioche fragranti e profumate, preparate da qualche gnomo invisibile.
E poi, le mamme delle pubblicità erano sempre delle gnocche da paura che uscivano dal letto già truccate!
Ancora non ci rendevamo conto, ahimè, che la televisione era un mondo fatto di illusioni e inganni, esattamente come la minima quantità di marmellata presente in quelle stesse brioche…



TELEVISION ERGO SUM

Erano ancora distanti gli anni in cui non uno gnomo, bensì un nano, avrebbe sfruttato il potere della televisione per ingannarci in un modo ancor più subliminale. Intanto i miracoli a cui credevamo erano fatti da innocenti maghette giapponesi, armate di bacchetta magica. Bim Bum Bam non faceva ridere, anche se, ammettiamolo, avremmo dato tutto il nostro maialino dei risparmi, pur di scoprire cosa o chi si ci celasse dietro a Uan. Quindi ci si alzava dal divano e si cambiava canale. Su ORF c’era "Am Dam Des". Sigla incomprensibile, va beh, ma non era certo questo il problema, bensì quel “simpaticone”, quel clown di nome Enrico. Il mostro di simpatia è riuscito a ispirare perfino un genio del horror come Stephen King, ci avete mai pensato? Infatti IT uscì qualche anno dopo. Complimenti ai programmatori austriaci per quest'idea. Peccato dovesse trattarsi di un programma per bambini...



IL MONDO E’ UN PALCOSCENICO by WILLIAM SHAKESPEARE

Scappammo dalle proiezioni televisive buttandoci nella vita reale. Noi, eterni Peter Pan, amavamo il carnevale come nessun’altra festa. Il motivo era palese. Fino a che eravamo incapaci di intendere e volere, ma soprattutto arginati in una carrozzina, eravamo stati vittime dell’altezzosa creatività delle nostre mamme.
Dite la verità, anche voi, sfogliando l’album di famiglia, siete incappati in spaventose fotografie, delle quale ignoravate l’esistenza! Testimonianze indelebili, dove a carnevale le mamme vi hanno travestito da ranocchio sotto effetto di stupefacenti o da confezione di müsli.
Ma ci prendemmo ancora una volta la rivincita e appena raggiunta l’età prescolastica diventammo tutti cowboys, principesse o zorro. Se chiudete gli occhi, riuscite ancora a percepire la puzza dei pennarelli da trucco e l’inconfondibile odore gommoso delle maschere dai dentoni.
Il giovedì grasso era quello della panicia e della povera anda Beta: primo caso gardenese di stalking…
Per non parlare del martedì grasso, ancora genuino ed euforico. Ci si recava allo stadio del ghiaccio per rimediare un bombolone e si spendeva gli ultimi spiccioli del “Bonibonann” per acquistare miniciccioli e inchiostro finto, che infine scoprivamo non essere poi tanto finto…
Ma carnevale era soprattutto il periodo delle feste in maschera. Alle prime parties si andava a fare il pieno di marshmallow, Frizzy pazzy e gommose dai colori il più fosforescenti possibili. L’equazione matematica era: più le nostre madri le chiamavano volgarmente “schifezze”, più ci piacevano.



LONG LIFE LEARNING

Superato il periodo di carnevale tra bombe dal fetore di uova marce, tornavano le paure reali: le punture contro la rosolia e soprattutto la temutissima dentist-mobile, che in un’anonima giornata primaverile si presentava sadicamente davanti a scuola. Purtroppo, capimmo, non sempre poteva essere il camion che distribuiva gli album delle figurine Panini...
Succubi del monopolio della Scout macinavamo il nostro percorso scolastico, assomigliando tutti con quelle cartelle quadrate a dei piccoli astronauti.
Eppure crescemmo e imparammo. Naturalmente per la vita. La nostra conquista intellettuale più importante fu infine il riuscire a scrivere con la calcolatrice la parola ESEL.

RESPONSABILITÀ

Arrivava il giorno dei Re Magi e si andava a “cianté i 3 rëisc”. Naturalmente senza accompagnatore e senza bodyguard. Eppure, strano, nessuno ci ha mai per questo rapinato! Anche perché, se qualcuno ci avesse provato, avremmo usato la stella cometa come Leonardo (non l’artista, ma la Tartaruga Ninja) usava il suo katana! Inoltre sapevamo orientarci bene nella metropoli gardenese! Il capellano ci dava consegnava la mattina presto la cartina del territorio e senza proferir verbo, il suo sguardo accigliato ci intimava con la mina di un gangster di Chicago: “Andate e non combinate pasticci. Lo scoprirei prima del tramonto.”
Sì, perché se cantavi in malmodo (epica la parodia di “Union dal urient”) o se usavi la cassetta delle offerte come slittino lungo gli scoscendimenti di Ronce, LUI lo veniva a sapere dalle sue spie. Le sue fidate Bond-girls erano Cisca dal Bechbatula e Stina Cruzte.
Gli anni ’80 ci hanno insegnato ad avere responsabilità e a pagare con una doccia fredda le volte d’inverno che decidevamo di attraversare il torrente ghiacciato di Val d’Anna basandoci sull’ottimismo.

Tuttavia, se al giorno d'oggi riusciamo a girare per l’Australia senza aver bisogno che mammina ci tenga per mano, il merito è soprattutto di una persona:
della FRAU MAIER!
È stata lei infatti a plasmare il senso di responsabilità degli anni ‘80.
Quel suo gettone a buco di ciambella ha fatto battere più forte centinaia di cuori.
Le antiche leggende del Mar Dolomit narrano di bambini che, una volta consapevoli di aver smarrito il famoso gettone, tentarono vere fughe in stile conte di Montecristo e scavarono una galleria à la Mario Bros, sbucando infine al depuratore di Pontives.
Se qualcuno in quegli anni avesse avuto la brillante idea di falsificare finti gettoni della Frau Maier, si sarebbe fatto una fortuna!

Ma, certo, erano gli anni d’oro. Chi mai aveva bisogno di pensare allora per migliorare il proprio stile di vita?

FINE

Ivan Senoner (Copyright 2014)

GARDENA VALLEY HISTORY (3a parte)

GARDENA VALLEY HISTORY: La storia di tutti noi… o quasi

(TERZA PARTE)


WINTER IS COMING

Chi siamo? Siamo quelli degli anni '80.
Siamo quelli che all’alba di un anonimo giorno di febbraio del’85 ci trovammo inghiottiti dalla neve. Frau Holle, in piena guerra fredda, si era dopata in una cantina di Dresden e in piena iperattività, si era concessa di mandare in tilt la nostra amata vallata.
Si scendeva così da Martin in slitta e nel caso in slitta ci arrivavi anche a scuola, era come se Batman avesse parcheggiato la Batmobile davanti a casa tua.
Neve andava a braccetto con lo sci come il wasabi con lo sushi. I Fischer dal design sobrio ai piedi, ce li trascinavamo verso la pista più vicina. Sottolineo: a piedi! Durante il percorso incrociavamo i turisti e li deridevamo, guardandoli come portavano gli sci. Alcuni rigorosamente con la punta all’indietro, altri come se stessero ballando il cha cha cha.
Facevamo la stessa pista 33 volte. Con meno curve possibili. Senza casco, senza paraginocchia, senza paraschiena, senza… paranoie! Eravamo inoltre tutti un po’ masochisti, quando simulavamo delle gare con i terribili paletti in LEGNO. Se scendevi avendo il coraggio di toccarli, facendoli oscillare, allora avevi un ego da campione di coppa del mondo. Qualcuno imbrogliava dando loro uno fugace manata...



E poi c’erano i voli... no non quelli della Ryanair, le disastrose cadute da circo! Abbiamo ancora tutti in ricordo il sapore della neve tra i denti, il senso di stordimento, e quella sensazione ghiacciata confinante con il bruciore. Gli sci chiaramente dispersi alla cavolo di cane e la speranza che fossero sotto di noi e non sopra: più per non dover risalire decine di metri come un cowboy ferito. Più nell’orgoglio che nel fisico.
Mentre alla televisione osannavamo le mitiche piste come la Streif e Wengen, il nostro circo mondiale si chiamava Ronce, Plan da Tieja e Furdenan. Amarcord: proprio al Furdenan avevano messo una macchina che cronometrava il tempo. A quei tempi un’innovazione futuristica, un po’ come sciare adesso affiancati dall’ologramma di Lindsey Vonn. Ma ogni sciatore che si rispettasse doveva superare l’ardua prova di idoneità: il canalone di Ronce, infido come una relazione a distanza. All’inizio ancora abbastanza piatto, nella seconda parte ti faceva sentire il brivido mordicchiarti l’intestino. Alla fine, una volta raggiunto il traguardo, miravi verso l’alto chiedendoti: sono veramente sceso da quel precipizio?
Ma c’era un altro mezzo di trasporto, più adatto a chi era meno competitivo e voleva comunque armarsi di protagonismo. No, non sto parlando del monoski, meteora dell'innovazione, ma della luesa da corni.
Qualcuno la trovava da qualche parte, in qualche fienile abbandonato. Due si sedevano davanti e 12 dietro. Chiaramente gli sfigati erano quelli seduti in mezzo e di bassa statura, che non riuscivano nemmeno a toccare con i piedi per terra! Ci si doveva quindi affidare al destino, alla fortuna e alla competenza di guida di quelli davanti. Per di solito i guidatori della luesa da corni erano di qualche anno più vecchi e per guidare lo slittone avevano conseguito la patente W. W come Williams.


E poi c’erano i corsi di sci, con tanto di qualificazione per l'assegnazione al corso. Ti facevano scendere dalla pianura del Palmer e ti marchiavano con fama o disonore, a seconda di a quale corso potevi partecipare. Alla fine c’era la gara per ogni categoria. Ti facevano la foto e guardandola scoprivamo di essere scesi con gli occhiali da sci ancora in fronte. La gara del corso di sci era però inclusiva e offriva una possibilità a tutti. I due minuti di celebrità, come si suol dire. C’è gente adatta allo sci come un lottatore di sumo al bricolage, che però si è così portata a casa una medaglia d’oro. Io sono uno di quelli.
La domenica, l'andare a sciare era un “must”. Il problema era che la legge salomonica della coda non perdonava i ghiri della domenica. Qualcuno cercava di fare il furbo e si portava gli sci a messa,. Questo per guadagnare venti metri di coda. La scena è ancora impressa nella nostra mente come un trauma infantile. La coda di tute multicolor che dalla stazione del Seceda arrivava fino al parcheggio! La ricompensa, una volta nelle infinite praterie di Mastlé, era l’immancabile cioccolata ipercalorica con la panna.
Una mattinata del ’88 scoprimmo che anche i bolognesi sapevano sciare. “Chi è questo Tomba?” ci chiedemmo, vedendo quel riccioluto fare un’ottima impressione a Calgary. Ancora non sapevamo che per i prossimi anni ci avrebbe regalato thriller mozzafiato, sfidando da solo contro tutti i temuti austriaci e rovinando qualche pranzo della domenica al commentatore dell’ORF, di parte come una nonna alla recita del nipotino al teatro della Jungschar…


(Continua...)

Ivan Senoner (Copyright 2014)

GARDENA VALLEY HISTORY (2a parte)

GARDENA VALLEY HISTORY: La storia di tutti noi… o quasi

(SECONDA PARTE)


Chi siamo? Siamo quelli degli anni ’80, cresciuti in un asilo sincero: tra scivoli e sabbiere, tra pezzi di lego che servivano ancora per costruirci qualcosa e non per trasformarli in salsa al formaggio del Cineplexx.
THE KINDERGARTEN

Un’asilo munito di “Küchenecke” e “Spielecke”. Siamo quelli che all’asilo giocavano e non sapevano ancora leggere, a differenza della new generation stimolata dai best seller tipo “Il potenziale intellettuale del tuo bambino genio”. Il primo giorno di asilo ci hanno assegnato un animale di riferimento e pochi giorni dopo abbiamo imparato la lezione della la vita: si mangia quello che c’è nel piatto. Niente à la carte, niente menù a scelta. Tutti imparammo ben presto ad adeguarci e, cosa ancora più rilevante, a conoscere il nostro nemico gastronomico: i piselli.
Distribuiti dal fornitore dei bassifondi, una certa Frau Köchin (che nessuno hai mai visto in faccia), tentavamo di tutto per simulare la consumazione delle odiate palline verdi. Secondo una statistica dell’ISTAT, sono stati trovati più piselli verdicci sul pavimento, che nello stomaco dei bambini gardenesi. Eppure avevamo l’occasione di rifarci della tirannia vegetariana. Dopo pranzo, poco prima dell’odiato pisolino, si andava nel bagno per consumare il prelimato dessert gourmet: il dentifricio alla fragola… rigorosamente divorato come se fosse stato una crème brûlée.
Veniva poi il giorno del momento storico. La fotografia. Chi non ce l'ha?Appesa da qualche parte, in cameretta o in corridoio. Grembiule in funzione di uniforme, sguardo ebete oppure di falsa cortesia (a secondo del nostro umore), ci toccava far finta di giocherellare con il Lego, mentre un fotografo, simpatico come una puntura di zanzara, avrebbe venduto l’anima a Cerbero pur di strapparci un sorriso spontaneo.
Le nostre aspirazioni erano progetti futili, tipo ricevere a pranzo il piatto con sopra raffigurato il gufo. Questo era il nostro supereroe più tosto, perché sapeva semplicemente volare. Spiderman già esisteva all'epoca, ma non aveva ancora fatto carriera. Il nostro gufo nei suoi confronti era ciò che Chuck Norris rappresentava nei confronti di Flip di Biene Maya. Di tanto in tanto c’era uno che all'asilo compiva gli anni. Le fantasiose maestre gli regalavano un calzino trasformato in coccodrillo e dentro c’erano delle caramelle o dei dolcetti. All'epoca eravamo distanti anni luce dal mondo fatato in cui uno poteva esprimere un desiderio. Penso concretamente al bambino che qualche anno fa ha chiesto (e tra l'altro ottenuto!) di accogliere Norbert Rier(!) alla sua festa di compleanno all’asilo.
Io compivo gli anni ad agosto e rientravo nella categoria degli sfigati. Niente coccodrillo, niente festa anticipata per prevenire “traumi post-infantili di mancanza di fiducia”. Hai voluto nascere ad agosto? La prossima volta che dovrai nascere, pensaci prima in che mese nascere. Così impari!

THE BIRTHDAY

“Tanti auguri a teeee” e diverse tirate di orecchie, a seconda degli anni. Oggi come oggi non so se resisterei. C’era il momento in cui al tuo compleanno aspettavi i tuoi amici. Sottolineo amici. Invitare delle femmine sarebbe stato come invitare tua suocera alla festa di addio celibato. Tra “Marmorkuchen” e succo di lampone, si giocava a nascondino o a “cejotta” e c’era sempre qualcuno che prima o poi finiva per farsi male e/o piangere e/o scatenare una lite. Se la festa finiva con qualcuno permaloso, il quale ti minacciava, gridandoti in faccia l’affidabilissima frase: “Non sarai MAI più il mio amico”… allora la festa in un certo senso era riuscita.
Venivano aperti i regali; prima quelli incartati in carta da regalo rossa con gli orsetti neri: Giocattoli Monica (garanzia!). Se invece il pacchetto si tastava soffice ancora prima di aprirlo, allora suonava il campanellino d’allarme. Potevi star certo che si
Inoltre, appuntamento fisso ad ogni compleanno e a alto tasso di competizione: la “Schokoladenschlacht”.
trattava del ragalo della nonna, la quale ti aveva puntualmente regalato qualche pullover stile “nonno di Heidi”.


TOY REVOLUTION

E venne il momento di gloria della calcolatrice. Calcolatrice nell’orologio, calcolatrice a energia solare, calcolatrice nel fustino del detersivo. Di colpo sembrava come se il dio Pitagora ci avesse omaggiato con quel micro computer rigorosamente made in Taiwan. Ma mai ci saremmo venduti al Sol Levante. Noi eravamo la generazione della gommapanna, dello yo-yo, del calcetto in Calonia e della mano acchiappatutto gommosa che trovavi nei pacchetti di patatine da 500 lire. Eravamo quelli che schiattavano dalle risate se sentivano una barzelletta tipo: “C’è un italiano, un francese e un tedesco…” Pierino e le tre frasi è rimasta per cinque anni nella hit-parade comica della valle. Già, eravamo dalla risata facile.
Quando usciva la Spatzenpost eravamo al settimo cielo e last but not least, avevamo i cartoni animati belli. Senza maxieroi che dovevano salvare il mondo à la Rambo. Cartoni semplici, ingenui, di sport, di magia: paripampù, catapulta infernale e drammi di adolescenti frustrati. Quelle erano le tematiche dei cartoni di allora!
Giurammo che non ci saremmo mai venduti al futuro tecnologico.
Ci credi alle banane che volano? D’altronde non è colpa nostra. L’impero della pubblicità Mediaset iniziò a rifilarci delusioni ancor prima che scoprissimo che le nostre lettere a Gesù Bambino venivano sfacciatamente intercettate da chi credevamo nostro alleato....ovvero la mamma.
Sì, le ditte di giocattoli iniziarono a illuderci attraverso la televisione. Prima il Crystal Ball, poi il Dolce Forno Harbert. In più, il tanto ambito Twister si rivelò causa di slogamenti delle caviglie e soprattutto di figure di merde, mettendoci in posizioni a dir poco… imbarazzanti. Il mondo dei giocattoli moderni ci fece scoprire la macchina telecomandata Rombo di Tuono e ci portò le bambole per addestrarci a diventare ottime badanti. Infatti si lamentavano, si urinavano addosso e ci dicevano cosa fare. I giocattoli ambasciatori del progresso, una volta tra le mani, si rivelavano solo l’ombra dei mostri sacri rivelatisi nelle varie pubblicità. E già, avevamo scoperto la menzogna della TV molti anni prima che Silvio scendesse in campo…
Delusi dalle promesse della Mattel e della GIG, come Dorothy dal mago di Oz, ci rintanammo nella televisione dei grandi. Nacque la moda del Wrestling. Diversi vasi di pregiata fattura sono caduti vittime di tentativi di emulare Hulk Hogan e i suoi allegri amiconi degli steroidi. Il giorno che scoprimmo che nemmeno il Wrestling era reale, decidemmo di cambiare canale. E ci bastarono due linee all’estremità dello schermo e un puntino, per darci il benvenuto nel mondo dei videogiochi.

THE VIDEOGAMES

Per la prima volta giocammo a tennis senza dover muovere le gambe. 
Tra innocui alieni e suoni elettrici stile Giorgio "American Scurcià", passavamo le giornate piovose davanti alla TV. I nostri genitori erano però tranquilli, avevano la tecnologia sotto controllo. Almeno lo pensavano…
Come in un classico di Stephen King, Belzebù trovò però terreno fertile nell’ombelico della capitale gardenese. In piazza S. Antonio, oh che orrore, aprì la prima sala giochi. Paura! Come tutte le cose proibite, ciò rendeva la vista a Sodoma e Gomorra ancora più appetibile. Nonostante non avessimo i soldi per giocare ai coin-up e ancor meno il nulla osta dei nostri procreatori, ci bastava assistere alle performance dei più grandicelli per essere felici. Tra luci stordenti e personaggi con il QI di un polipo che giocavano a Wonderboy con sguardo da duro, stavamo appressi come fidi sottomessi, lasciando che le nostre orecchie venissero imbottite di record virtuali e di parole incavolate che non si trovavano nel vocabolario… 
Ma ecco che la vipera videoludica entro nelle nostre case senza bussare. Il Gameboy in bianco e nero generò migliaia di persone convinte che almeno qualcosa nella vita lo sapessero fare bene: giocare a Tetris! 
Quel gioco proveniente dalla fredda Russia riuscì a ridare un alito di fiducia alle vittime dell’asilo che compivano gli anni in estate… Giravano leggende a riguardo del sadico gioco, glaciale metafora di vita. Dopo il 1001esimo livello, i nerd del Tetris affermavano che sopraggiungesse un’astronave per portarti nei campi elisi del Tetris eterno. Imparammo la tenacia. Passavamo ore e ore a giocare a Pacman, pur sapendo che il prossimo livello sarebbe stato perfettamente identico. 
Ma non solo, i primi videogames ci aiutarono anche a livello didattico. Un mio amico ricevette un gioco di ruolo interamente in inglese. Invece di piagnucolare, inveire contro la malasorte e pretendere dai genitori di ricevere un gioco diverso, si armò tenacemente di un pesante Langenscheidt Englisch-Deutsch. Riuscì a terminare il gioco. Che dire? Eravamo la generazione del “Hai voluto la bicicletta, pedala!”


JUST DO IT

La scuola elementare era rosa. No, non era sponsorizzata dalla Hello Kitty o da Paris Hilton. Qualcuno a quanto pare aveva deciso così, senza interpellare il popolo. Le cose non sono molto cambiate in questo senso… Da fuori assomigliava a una gigantesca casa della Barbie. Ma, cosa taciuta fino al giorno d'oggi, al suo interno generazioni di alunni conobbero il doping di stato.
Si chiamava Zymaflour, era una pastiglia dal sapore di detersivo per i piatti e veniva distribuita prima delle lezioni, senza se e senza ma… Qualche ribelle trovò il modo di farle scomparire in tasca più veloce del mago Copperfield. Secondo quanto riferitomi da un agente della CIA, ancora oggi alcuni le tengono conservate come un cimelio d’antiquariato, ben nascoste in un bicchierino sulla credenza. Naturalmente vicino alla collezione delle minuscole palline delle “Tintenkapseln” (che prima o poi cascavano a tutti sul pavimento.)



YOU WON’T BELIEVE IT, DEAR TELETUBBIE GENERATION

Noi siamo quelli che, tra i tre e cinque anni, abbiamo ascoltato molto più gossip del caporedattore della “Bild”. Annidati su qualche sedia troppo grande per la nostra età, rintanati in un bar troppo affumicato per i nostri innocui polmoni, siamo rimasti interminabili ore ad ascoltare le nostre madri scandalizzarsi per ridicole futilità, litigando infine per chi potesse pagare il macchiato!!!.
In compenso abbiamo imparato ciò che Siddhartha colloca tra i valori fondamentali: abbiamo imparato ad attendere e ad aspettare che i grandi finissero la conversazione. Tutto questo senza metterci a frignare. Rimanevamo tranquilli a sorseggiare Yoga all’albicocca, densa come sapone liquido, sperando che le nostre allegre compagne di bevuta non ordinassero il bis. Dove? Un po’ dappertutto, perfino al mitico Caffè Ladinia. Raccontare al giorno d’oggi di essere stato nell'ormai decrepito Ladinia, genera incredulità! Quasi come come spifferare a qualcuno di aver trangugiato nettare d’orzo al Ciastel Balest, in compagnia di un certo Oswald von Wolkenstein.

Ma questa è un’altra storia…

(Continua…)

Ivan Senoner (Copyright 2014)

GARDENA VALLEY HISTORY (1a parte)

GARDENA VALLEY HISTORY: La storia di tutti noi… o quasi

Chi siamo? Siamo quelli nati prima degli anni '80. Per otto interminabili anni (qualcuno 9 o addirittura 10) abbiamo frequentato la scuola dell’obbligo pensando che il preside fosse un certo Felix.
Obesità infantile? Nada. Indipendentemente dal fatto se abitavi uno o tre chilometri di distanza da scuola, lo scuolabus era meno reale di Babbo Natale. Perfino lo Yeti di Marëufer arrivava a scuola a piedi. Ci toccava macinare centinaia di metri e ciò faceva parte della nostra educazione. Sì, perché durante il tragitto non solo imparavi a scampare agli agguati e a digerire delusioni, ma facevi anche delle nuove amicizie. Inoltre in inverno, le palle di neve fucilate nella schiena facevano parte del nostro addestramento alla vita. Quelle rare volte che i genitori ci venivano a prendere in macchina, dicevamo loro di aspettarci a debita distanza. Questo per non farci prendere per il culo dai nostri amici e fare la figura dei fannulloni. Il pomeriggio vigeva una regola chiave.

THE WOOD

Fino a che c’era il sole, l’interno dell’appartamento era tabù. “Cosa fai in casa con questo tempo?” ringhiavano le nostre madri, se azzardavamo ad accendere il mostro sacro, ancora serenamente ignari dell’esistenza del telecomando.
Nel bosco di fine autunno eravamo dei veri carpentieri abusivi. Altro che condono edilizio! Le nostre capanne nel bosco venivano costruite, distrutte, conquistate, ricostruite, demolite. History Channel ci potrebbe girare un documentario storico. Eravamo i Robin Hood di Val d’Anna: coloro che rubavano i chiodi al ricco (di solito il nonno), per darli a noi stessi. Non storcete il naso. Voi avete per caso mai conosciuto qualcuno che abbia costruito una capanna, pagando per un asse di legno?




THE RELIGION

Noi degli anni ’80 ci hanno educato attraverso la religione visiva. Questo, nonostante non esistesse ancora il 3D. Il paradiso ce lo immaginavamo come una nuvola ovattata occupata dalla nonna e dal nonno (che intanto ci aveva perdonato per la storia dei chiodi fregati…). Quando anni dopo, abbiamo visto la pubblicità della Lavazza, ci siamo detti: “Cavolo, ci hanno copiato!” Per noi di “Su per Ch’l Piz”, confinanti con il cimitero, Ognisanti era la festa nazionale. Altro che Halloween. La zucca faceva parte dei frutti esotici (=inesistenti), come il mango, la papaya e la polvere di stelle. Il primo di novembre. Tutte quelle luci, che spettacolo… Andavamo a raccogliere le candele consumate per riciclarle (e pensare che non avevamo imparato il know-how attraverso un tutorial su Youtube). Eravamo autodidatti di “candelogia”. Laurea honoris causa. Tutto molto divertente, se non ci fosse stata quella maledetta vocina interiore a metterci in riga. Il cappellano ci ricordava che Dio vedeva tutto, ma noi sapevamo di avere un credito aperto con il Grande Capo. In fondo suoi dipendenti: eravamo i chierichetti ufficiali della parrocchia. Con tanto di divisa! Ci toccava servire messa per una settimana di fila. Non solo eravamo vittime del lavoro minorile, eravamo anche precari! La messa delle 7.10, con partenza in piena oscurità alle 7.00. Temperatura siberiana a -15, passando per un bosco popolato da gatti randagi… Forse Dante Alighieri aveva effettivamente radici gardenesi. Infatti all’inizio della Divina Commedia cita il nostro idillico paesino…?
Faceva così freddo che il vapore ci usciva dalla bocca e noi ci sentivamo grandi, mentre facevamo finta che stessimo fumando una sigaretta. Ad accoglierci in sacrestia c’era poi il sagrestano. All’epoca mi appariva simpatico come un Fernet bevuto a stomaco vuoto. Nonostante tutto, servire la messa di prima mattina non era male. Quelle mura, tra le quali echeggiavano i canti monocorde di una messa asciutta e meditativa, aveva qualcosa di surreale. Per non parlare del silenzio mistico, con le solite sette vecchiette, ogni mattina sedute ai medesimi posti, quasi avessero avuto l’abbonamento. Ma i ricordi abbracciano aspetti che a distanza di anni ci sembrano irrilevanti: il crepitio dell’ostia nel microfono, l’odore pungente del vino da messa, il marmo freddo. Ripensandoci, quei tenui rammenti rievocano quasi quasi una leggera voglia di ritornarci. Chissà se le vecchiette sono ancora lì, nella loro inconfondibile posa devota?



THE SKIPASS

E poi, a fine novembre, iniziava a scendeva la prima neve. Giusto in tempo per fare lo skipass formato gigante 10 cm X 10 cm. I risparmiatori più rigorosi riuscivano a coprire le spese, racimolando abbastanza soldi attraverso la “Tlecanocht”. Se avevi i polmoni per farti Arnaria – Costa Mula (andata e ritorno), magari te la cavavi con quattro giovedì d’avvento. Il mio amico, animato da un giovanile spirito capitalista, aveva tentato invano di convincermi che le settimane d’avvento fossero sei e non quattro! A Santo Stefano girava ancora per la via Lip stringendo calorosamente le mani e augurando Buon Natale.
Tornando allo skipass. Se i conti non tornavano, c’erano comunque sempre mamma, papà o la nonna a darti una mano. Infine entravi nel tempio della Banca Popolare per farti fare la tanto ambita tessera stagionale. Ah, la foto dello skipass! Altro che dodici tentativi digitali, altro che selfie! Non sapevi mai quando partiva la fotocamera e dato che i tizi ti mettevano pure fretta, eri teso come un lord inglese alla sua prima caccia alla volpe. Non avevi nemmeno il tempo di prepararti che partiva il flash! Le conseguenze? In foto apparivi con il tuo giubbotto imbottito, assomigliando tale e quale all’omino Michelin. Inoltre, essere raffigurato sulla foto dello skipass, dimenticandosi di togliere dalla testa il berretto era da sfigati. Così c’era chi ogni anno si ritrovava sullo skipass una foto simile ad una foto segnaletica del FBI, ovvero con lo sguardo esterrefatto da camaleonte sotto effetto di LSD.

SHOPPING

C’era un negozio, minuscolo come una stube tirolese. Dentro c’era un tizio che scolpiva e nell’aria aleggiava l’accogliente profumo della stufa a legno. Un gatto ronfava sul davanzale fregandosi di tutti. Era il paese dei balocchi del doposcuola. Se all’epoca fosse esistito il Lonely Planet, la rinomata guida turistica l’avrebbe sicuramente definito un “insider tip”. Era la piccola bottega del dopo scuola, famosa per gli Yo-Yo e le liquirizie a 100 lire. Ma ciò che oscurava quel negozio idillico era il fatto che fosse anche il regno di qualche cleptomane… Qualcuno si sentiva infatti molto figo a pensare che il canuto scultore non se ne accorgesse dei furtarelli, ma forse il vecchietto, da saggio qual era, aveva capito che qualche liquirizia in meno non gli avrebbe cambiato la vita.

HIGH TECNOLOGY

E mentre crescevamo e ci immaginavamo l’anno 2.000 disegnando nei nostri quaderni macchine volanti e aspettando qualche alieno affettuoso che sarebbe venuto a trovarci, per poi cascare nell’oblio della nostalgia, abbiamo sbirciato negli anni ’90 assaporando i Commodore ’64 e sacrificando ore delle nostre serate a programmare con Gw-Basic un cronometro. Ma il vero sbalordimento a destarci non fu un avvenimento tecnologico, bensì gastronomico: il canederlo gigante il giorno del 95esimo compleanno di Luis Trenker.
Capimmo che il mondo stava cambiando. No, non a causa del canederlo o del crollo del muro di Berlino, ma perché ora, rullo di tamburi, davanti alla porta di ogni bambino che aveva fatto la cresima, sostava una fiammante Mountain Bike a 18 marce Shimano. Naturalmente non incatenata.
E c’era dell’altro a tingere di modernità la nostra quotidianità. Ora in astuccio custodivamo un fulgente evidenziatore della Stabilo Boss.
Sì, era uscita la moda del fosforescente. La pista del Seceda sembrava la festa dei limoni a Mentone e per non venire accecato da quelle orrende tute gialle fosforescenti, dovevi metterti gli occhiali da sole.
Ma questa è un’altra storia…






(Continua…)

Ivan Senoner (Copyright 2014)

10 Thinks you have to do at marcià de Segra Sacun

10 THINGS YOU HAVE TO DO AT 

MARCIÀ DE SEGRA SACUN



1) Cumpré n mandorlato artejanel: chëi fac a fëta de tëurta. (I mpueresc ti tacuin, ma perchël arichësci chël dl dutor dai dënz).

2) Ciarcé l panino cun porchetta pra l stond dala lueses. (Per fé fonz l ideal! Ocio: limited edition).

3) Purvé a ndeviné tant che pëisa l vadel (Mission impossible).

4) Te fé museré la prescion pra i volunteres dla Crëusc Blancia (Iust n chël di: la prudenza non è mai troppa!)

5) Cumpré 3 pëires. (Un per la fëna, un per la ex y un contro la fam cronica, canche te jires a cësa n slalom).

6) Marënda cun "Graukas y ciola" dai Catores. (Tranquillo: n chël di n abada eh deguni ti alito...)

7) Purvé a cumpré na mozzarella di bufala, zënza se lascé pancé su dut l arsenal dl stond. ("Ha detto un etto? Va bene se facciamo due etti e trenta?")

8) Jì tla bibliotech al "Bücherflohmarkt) y fé l pieno de libri low cost! (Zënza daldò se desmincé la tascia cun l "Wok Kochbuch" da 7 kg ncantëur...)

9) Passé jal Circolo, scuté su mujiga, s'la ciaculé y dantaldut: nia vester dala varizia. 

10) Se memorisé bel daduman ulache ie i chegadoies y cialé de giaté ca n PRIORITY PASS (dantaldut l'ëiles)

Work in progress...