lunedì 2 dicembre 2013

Ritorno a Vienna

RITORNO A VIENNA

Ogni volta è come se fosse la prima. Eppure, abbandonando il carro dei ricordi, mi rendo conto che ne è passata di acqua sotto i ponti, da quando visitai questa città per la prima volta. Era il 1999 e a quell'epoca rappresentò l'ultima tappa di un Interrail che mi aveva introdotto nel magico mondo del viaggio. Ricordo quel profumo di città senza limiti, quelle tenue sensazioni che non trovi nelle guide turistiche. Respirare l'aria consumata e l'odore di gomma bruciata della metropolitana e sentire comunque la stessa essenza di libertà, che solo un urlo in cima ad una montagna può farti provare. Per chi è cresciuto in un paesino di 4.000 anime, una città rappresenta più di una meta turistica. Specialmente se questa città rappresenta un'eredita culturale centenaria, in cui ogni singola occhiata ti pervade di input visivi, i quali ti sollecitano le sinapsi. 
Vienna è una di quelle città in cui mi sento a mio agio, nonostante da quella prima volta nel lontano 1999, l'ho vista nelle sue varianti più diverse. Ho potuto assaporare certamente anche le sue attrazioni turistiche e le sue mostre, ma c'è qualcosa di più profondo che fa di lei una di quelle città da "assaporare con tutti i sensi". In tutti questi anni nei quali ci ho fatto ritorno, ho iniziato ad apprezzare sempre di più le sue sfumature più impercettibili. Parlo del brusio nei caffè, del profumo del legno stagionato o delle fodere consumate all'interno di bettole. Locali dal flair spettacolare, orfani forse di quel saper vivere di fine '800, all'interno dei quali riecheggia comunque ancora le dispute su Mahler e Liszt o le osate teorie illuministiche. Sono i suoni che solo la fantasia fa percepire al viaggiatore più acuto. Una città come un quadro senza cornice, in cui i colori di una variegata opera impressionistica, ti spingono ad abbandonare tutte quelle sicurezze, per calcare il lastricato del passato, quando il dubbio alimentava nei viennesi la voglia di creare. Vienna è anche altro: camminare lontano dalle piazze popolate e dai centri commerciali, vagare tra pozzanghere e luci soffuse, rimembrando con un abbozzo di sorriso sornione le malinconiche note del passato. Amo Vienna non tanto per quello che è, ma per quello che dà. Per i suoi palazzi cinerei, per le sue statue decadute, coperte da escrementi di piccioni, per i suoi abitanti dall'accento imperturbabile, ma soprattutto per quell'espressione di sano orgoglio, del non doversi nascondere dinanzi al progresso delle metropoli rampanti.
Una città dal sapore intenso, nel senso letterale del termine. Dalla  Sacher e i dolci creati con cura maniacale, alle Schweinshaxen unte e pesanti. Già, una città, da cui sempre a proposito di sapore, si torna sempre con qualche chilo in più.

Ivan Senoner  

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