domenica 25 gennaio 2015

GARDENA VALLEY HISTORY (2a parte)

GARDENA VALLEY HISTORY: La storia di tutti noi… o quasi

(SECONDA PARTE)


Chi siamo? Siamo quelli degli anni ’80, cresciuti in un asilo sincero: tra scivoli e sabbiere, tra pezzi di lego che servivano ancora per costruirci qualcosa e non per trasformarli in salsa al formaggio del Cineplexx.
THE KINDERGARTEN

Un’asilo munito di “Küchenecke” e “Spielecke”. Siamo quelli che all’asilo giocavano e non sapevano ancora leggere, a differenza della new generation stimolata dai best seller tipo “Il potenziale intellettuale del tuo bambino genio”. Il primo giorno di asilo ci hanno assegnato un animale di riferimento e pochi giorni dopo abbiamo imparato la lezione della la vita: si mangia quello che c’è nel piatto. Niente à la carte, niente menù a scelta. Tutti imparammo ben presto ad adeguarci e, cosa ancora più rilevante, a conoscere il nostro nemico gastronomico: i piselli.
Distribuiti dal fornitore dei bassifondi, una certa Frau Köchin (che nessuno hai mai visto in faccia), tentavamo di tutto per simulare la consumazione delle odiate palline verdi. Secondo una statistica dell’ISTAT, sono stati trovati più piselli verdicci sul pavimento, che nello stomaco dei bambini gardenesi. Eppure avevamo l’occasione di rifarci della tirannia vegetariana. Dopo pranzo, poco prima dell’odiato pisolino, si andava nel bagno per consumare il prelimato dessert gourmet: il dentifricio alla fragola… rigorosamente divorato come se fosse stato una crème brûlée.
Veniva poi il giorno del momento storico. La fotografia. Chi non ce l'ha?Appesa da qualche parte, in cameretta o in corridoio. Grembiule in funzione di uniforme, sguardo ebete oppure di falsa cortesia (a secondo del nostro umore), ci toccava far finta di giocherellare con il Lego, mentre un fotografo, simpatico come una puntura di zanzara, avrebbe venduto l’anima a Cerbero pur di strapparci un sorriso spontaneo.
Le nostre aspirazioni erano progetti futili, tipo ricevere a pranzo il piatto con sopra raffigurato il gufo. Questo era il nostro supereroe più tosto, perché sapeva semplicemente volare. Spiderman già esisteva all'epoca, ma non aveva ancora fatto carriera. Il nostro gufo nei suoi confronti era ciò che Chuck Norris rappresentava nei confronti di Flip di Biene Maya. Di tanto in tanto c’era uno che all'asilo compiva gli anni. Le fantasiose maestre gli regalavano un calzino trasformato in coccodrillo e dentro c’erano delle caramelle o dei dolcetti. All'epoca eravamo distanti anni luce dal mondo fatato in cui uno poteva esprimere un desiderio. Penso concretamente al bambino che qualche anno fa ha chiesto (e tra l'altro ottenuto!) di accogliere Norbert Rier(!) alla sua festa di compleanno all’asilo.
Io compivo gli anni ad agosto e rientravo nella categoria degli sfigati. Niente coccodrillo, niente festa anticipata per prevenire “traumi post-infantili di mancanza di fiducia”. Hai voluto nascere ad agosto? La prossima volta che dovrai nascere, pensaci prima in che mese nascere. Così impari!

THE BIRTHDAY

“Tanti auguri a teeee” e diverse tirate di orecchie, a seconda degli anni. Oggi come oggi non so se resisterei. C’era il momento in cui al tuo compleanno aspettavi i tuoi amici. Sottolineo amici. Invitare delle femmine sarebbe stato come invitare tua suocera alla festa di addio celibato. Tra “Marmorkuchen” e succo di lampone, si giocava a nascondino o a “cejotta” e c’era sempre qualcuno che prima o poi finiva per farsi male e/o piangere e/o scatenare una lite. Se la festa finiva con qualcuno permaloso, il quale ti minacciava, gridandoti in faccia l’affidabilissima frase: “Non sarai MAI più il mio amico”… allora la festa in un certo senso era riuscita.
Venivano aperti i regali; prima quelli incartati in carta da regalo rossa con gli orsetti neri: Giocattoli Monica (garanzia!). Se invece il pacchetto si tastava soffice ancora prima di aprirlo, allora suonava il campanellino d’allarme. Potevi star certo che si
Inoltre, appuntamento fisso ad ogni compleanno e a alto tasso di competizione: la “Schokoladenschlacht”.
trattava del ragalo della nonna, la quale ti aveva puntualmente regalato qualche pullover stile “nonno di Heidi”.


TOY REVOLUTION

E venne il momento di gloria della calcolatrice. Calcolatrice nell’orologio, calcolatrice a energia solare, calcolatrice nel fustino del detersivo. Di colpo sembrava come se il dio Pitagora ci avesse omaggiato con quel micro computer rigorosamente made in Taiwan. Ma mai ci saremmo venduti al Sol Levante. Noi eravamo la generazione della gommapanna, dello yo-yo, del calcetto in Calonia e della mano acchiappatutto gommosa che trovavi nei pacchetti di patatine da 500 lire. Eravamo quelli che schiattavano dalle risate se sentivano una barzelletta tipo: “C’è un italiano, un francese e un tedesco…” Pierino e le tre frasi è rimasta per cinque anni nella hit-parade comica della valle. Già, eravamo dalla risata facile.
Quando usciva la Spatzenpost eravamo al settimo cielo e last but not least, avevamo i cartoni animati belli. Senza maxieroi che dovevano salvare il mondo à la Rambo. Cartoni semplici, ingenui, di sport, di magia: paripampù, catapulta infernale e drammi di adolescenti frustrati. Quelle erano le tematiche dei cartoni di allora!
Giurammo che non ci saremmo mai venduti al futuro tecnologico.
Ci credi alle banane che volano? D’altronde non è colpa nostra. L’impero della pubblicità Mediaset iniziò a rifilarci delusioni ancor prima che scoprissimo che le nostre lettere a Gesù Bambino venivano sfacciatamente intercettate da chi credevamo nostro alleato....ovvero la mamma.
Sì, le ditte di giocattoli iniziarono a illuderci attraverso la televisione. Prima il Crystal Ball, poi il Dolce Forno Harbert. In più, il tanto ambito Twister si rivelò causa di slogamenti delle caviglie e soprattutto di figure di merde, mettendoci in posizioni a dir poco… imbarazzanti. Il mondo dei giocattoli moderni ci fece scoprire la macchina telecomandata Rombo di Tuono e ci portò le bambole per addestrarci a diventare ottime badanti. Infatti si lamentavano, si urinavano addosso e ci dicevano cosa fare. I giocattoli ambasciatori del progresso, una volta tra le mani, si rivelavano solo l’ombra dei mostri sacri rivelatisi nelle varie pubblicità. E già, avevamo scoperto la menzogna della TV molti anni prima che Silvio scendesse in campo…
Delusi dalle promesse della Mattel e della GIG, come Dorothy dal mago di Oz, ci rintanammo nella televisione dei grandi. Nacque la moda del Wrestling. Diversi vasi di pregiata fattura sono caduti vittime di tentativi di emulare Hulk Hogan e i suoi allegri amiconi degli steroidi. Il giorno che scoprimmo che nemmeno il Wrestling era reale, decidemmo di cambiare canale. E ci bastarono due linee all’estremità dello schermo e un puntino, per darci il benvenuto nel mondo dei videogiochi.

THE VIDEOGAMES

Per la prima volta giocammo a tennis senza dover muovere le gambe. 
Tra innocui alieni e suoni elettrici stile Giorgio "American Scurcià", passavamo le giornate piovose davanti alla TV. I nostri genitori erano però tranquilli, avevano la tecnologia sotto controllo. Almeno lo pensavano…
Come in un classico di Stephen King, Belzebù trovò però terreno fertile nell’ombelico della capitale gardenese. In piazza S. Antonio, oh che orrore, aprì la prima sala giochi. Paura! Come tutte le cose proibite, ciò rendeva la vista a Sodoma e Gomorra ancora più appetibile. Nonostante non avessimo i soldi per giocare ai coin-up e ancor meno il nulla osta dei nostri procreatori, ci bastava assistere alle performance dei più grandicelli per essere felici. Tra luci stordenti e personaggi con il QI di un polipo che giocavano a Wonderboy con sguardo da duro, stavamo appressi come fidi sottomessi, lasciando che le nostre orecchie venissero imbottite di record virtuali e di parole incavolate che non si trovavano nel vocabolario… 
Ma ecco che la vipera videoludica entro nelle nostre case senza bussare. Il Gameboy in bianco e nero generò migliaia di persone convinte che almeno qualcosa nella vita lo sapessero fare bene: giocare a Tetris! 
Quel gioco proveniente dalla fredda Russia riuscì a ridare un alito di fiducia alle vittime dell’asilo che compivano gli anni in estate… Giravano leggende a riguardo del sadico gioco, glaciale metafora di vita. Dopo il 1001esimo livello, i nerd del Tetris affermavano che sopraggiungesse un’astronave per portarti nei campi elisi del Tetris eterno. Imparammo la tenacia. Passavamo ore e ore a giocare a Pacman, pur sapendo che il prossimo livello sarebbe stato perfettamente identico. 
Ma non solo, i primi videogames ci aiutarono anche a livello didattico. Un mio amico ricevette un gioco di ruolo interamente in inglese. Invece di piagnucolare, inveire contro la malasorte e pretendere dai genitori di ricevere un gioco diverso, si armò tenacemente di un pesante Langenscheidt Englisch-Deutsch. Riuscì a terminare il gioco. Che dire? Eravamo la generazione del “Hai voluto la bicicletta, pedala!”


JUST DO IT

La scuola elementare era rosa. No, non era sponsorizzata dalla Hello Kitty o da Paris Hilton. Qualcuno a quanto pare aveva deciso così, senza interpellare il popolo. Le cose non sono molto cambiate in questo senso… Da fuori assomigliava a una gigantesca casa della Barbie. Ma, cosa taciuta fino al giorno d'oggi, al suo interno generazioni di alunni conobbero il doping di stato.
Si chiamava Zymaflour, era una pastiglia dal sapore di detersivo per i piatti e veniva distribuita prima delle lezioni, senza se e senza ma… Qualche ribelle trovò il modo di farle scomparire in tasca più veloce del mago Copperfield. Secondo quanto riferitomi da un agente della CIA, ancora oggi alcuni le tengono conservate come un cimelio d’antiquariato, ben nascoste in un bicchierino sulla credenza. Naturalmente vicino alla collezione delle minuscole palline delle “Tintenkapseln” (che prima o poi cascavano a tutti sul pavimento.)



YOU WON’T BELIEVE IT, DEAR TELETUBBIE GENERATION

Noi siamo quelli che, tra i tre e cinque anni, abbiamo ascoltato molto più gossip del caporedattore della “Bild”. Annidati su qualche sedia troppo grande per la nostra età, rintanati in un bar troppo affumicato per i nostri innocui polmoni, siamo rimasti interminabili ore ad ascoltare le nostre madri scandalizzarsi per ridicole futilità, litigando infine per chi potesse pagare il macchiato!!!.
In compenso abbiamo imparato ciò che Siddhartha colloca tra i valori fondamentali: abbiamo imparato ad attendere e ad aspettare che i grandi finissero la conversazione. Tutto questo senza metterci a frignare. Rimanevamo tranquilli a sorseggiare Yoga all’albicocca, densa come sapone liquido, sperando che le nostre allegre compagne di bevuta non ordinassero il bis. Dove? Un po’ dappertutto, perfino al mitico Caffè Ladinia. Raccontare al giorno d’oggi di essere stato nell'ormai decrepito Ladinia, genera incredulità! Quasi come come spifferare a qualcuno di aver trangugiato nettare d’orzo al Ciastel Balest, in compagnia di un certo Oswald von Wolkenstein.

Ma questa è un’altra storia…

(Continua…)

Ivan Senoner (Copyright 2014)

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